Dispacci, Marsiglia #4


Immaginatevi me, con uno zaino carico d’acqua appoggiato su uno shangai di costole, che a fine giornata provo a ritrovare il sentiero che dal calanco mi deve riportare, un’ora e passa dopo, al parcheggio.
Immaginate una donna in fiamme, senza uomo solo (sarebbero andato bene anche un uomo in coppia, comunque). Immaginatela guardare con sgomento il reticolato di segni e chiedersi, a mezza voce, se quella mancanza di arbusti indichi un percorso, o solo una preferenza della natura, e quale delle molte preferenze di fronte agli occhi sia quella con maggiori chance di essere un sentiero. Immaginatela – ascoltatela, anzi – dirsi che non è possibile, a 40 anni, avendo girato il mondo, non saper riconoscere un sentiero, e poi interrogarsi su quale ingenerosa ripartizione genetica l’ha privata fino a quel punto di senso dell’orientamento: c’è qualcuno cui poter chiedere i danni? Si può fare un forfettone unico con il conto dell’analista?
Immaginate i minuti passare, e lei semi carbonizzata decidersi a imboccare un sentiero, sospettando che non sia abbastanza verticale rispetto alla discesa a picco fatta ore prima. Immaginatela camminare quaranta minuti e ritrovarsi nei pressi di un’altra insenatura, ed essere stanca davvero a quel punto, e anche un po’ preoccupata: quanta strada ci sarà da fare ora? E quale strada soprattutto? E perché tutta quella gente che stava scendendo con lei, di mattina, ondeggiando e gorgheggiando come un gioioso unico corpo, non è lì adesso?
Immaginatela sedersi su una roccia rovente, e attendere. E poi osservate due bambini di otto anni, forse dieci, palesarsi infine risalendo a balzi dalla macchia: in ciabatte, con la maglia della Juve.
Immaginate il giro degli sguardi – non è che mi prenderanno in giro spedendomi dal lato opposto? Non è che ci si accozza e rallenta? – e il più clemente dei due dire: Señora, problema?, in spagnolo, e poi fare cenno di seguirli.

Immaginate come adoro Marsiglia, se ci riuscite.

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