Archive for January, 2011
fuoriclasse
Posted by gea in gea and the city, giornali e dintorni, personaggi on January 25, 2011
Ma se scrivo per altri vent’anni, divento brava così?
(nel dubbio, ho rinnovato l’abbonamento a Gq)
Italians do it better
Posted by gea in politica e dintorni, viaggi on January 22, 2011
Eravamo a Campiglio. Un fine settimana perfetto: sole splendente, piste quasi deserte, neve ben battuta, forme fisica oltre le aspettative. E una bottiglia di champagne francese per viziarci un po’.
Poi mentre Nic si lavava e io finivo di scolare le bollicine ho avuto la malaugurata idea di accendere la televisione (maledetta incapacità di staccare mai del tutto). E di fronte mi sono trovata un paesano innamorato del lambrusco e dello zampone (Sono qui a Castelfranco, diziamolo ben agli italiani che il miglior cotechino lo fazziamo qua) e un altro che per aggiungere pathos al proprio eloquio si esprime in brianzolo (Eh in milanese li chiamiamo ciociua uraduri, te capì?), che discettavano di cattolicesimo e politica. Ovviamente in collegamento da una qualche cantina dove si stava affettando il salame, che vorrai mai mollare le abitudini della domenica per andare a Roma in studio e sprecare il fine settimana.
E con la bocca ancora impastata da lambrusco, zampone, ossobuco e riso giallo, con la cadenza al pari di una nenia, si vantavano dell’autorità loro conferita dallo Stato: uno sottosegretario alla famiglia – la propria, di certo – l’altro viceministro di non ricordo che, grazie a dio. E non vale la pena nemmeno di riferire cosa dicessero: perché il mezzo è il messaggio, e il loro non essere in grado nemmeno di esprimersi in italiano la dice lunga sulla qualità del pensiero.
E ho dovuto finire tutto lo champagne da sola, per dimenticarmeli. Poi ho avuto mal di testa il resto del week end.
mal comune mezzo dramma
Posted by gea in politica e dintorni on January 17, 2011
Per non farci mancare niente, vi segnalo che la disoccupazione giovanile (19-25 anni) in Tunisia – uno dei fattori scatenanti la rivolta – ha raggiunto il 25%.
In Italia è al 25,4%.
E buona notte a tutti.
Update: la disoccupazione giovanile in Italia è arrivata al 29%. Il dato più alto dal 2004.
Dicevano, pensi, di essere sfruttati
Posted by gea in personaggi, politica e dintorni on January 15, 2011
La scena degli operai di Mirafiori che ballano e festeggiano e alzano i pugni a tempo di musica demodé mentre aspettano i risultati del referendum mi stringe il cuore. Senza retorica o falsa empatia. Semplicemente, mi fa male al petto.
Per buona parte della notte, i no all’accordo hanno prevalso: e loro si davano pacche sulle spalle, sorridevano e sostenevano a vicenda, illudendosi, per qualche ora, di aver fatto la rivoluzione sul serio. Di aver costretto il capo quantomeno a capire che non li può trattare come cose: che potrà anche fotterli, ma loro lo sanno, non sono cretini. E sono stati disposti a giocarsi la fabbrica: cioè il lavoro, la vita, la dignità.
Poi gli impiegati hanno dato il loro contributo alla questione, e hanno scelto il sì: forse perché l’accordo a loro intacca poco, mentre la chiusura della fabbrica sì.
Ognuno ha fatto per sé, e Marchionne ha fatto per tutti. Io l’ho difeso, molto tempo fa. Ne sono amaramente pentita.
Dirsi la verità
Posted by gea in giornali e dintorni on January 11, 2011
Il nostro direttore, forte di contatti credibili in quel di Bruxelles, ha scritto qualcosa di finalmento serio sulla crisi. Per l’Italia una maximanovra da 135 miliardi: come quella lacrime e sangue di Amato del ’92.
Prepariamoci.
Sarajevo (subtitle: I want to tear down the walls that hold me inside)
Siamo entrati a Sarajevo di notte, ascoltando questa. (The Edge con la pedaliera in confronto è un dilettante).
E con il buio, la neve, i vialoni larghi, i palazzoni sforellati e la gente vestita troppo poco per il freddo che fa, ho pensato di essere nel posto giusto al momento giusto.
In realtà la città prêt-à-porter è un’altra, e il contrasto mi ha reso la vita difficile. Il quartiere turco, intorno a cui si snoda la Sarajevo delle guide, è bella e ben sistemata: moschee, musei, bazar, negozietti, localini, una piazzetta raccolta. Troppo per me: negli ultimi anni ho sviluppato una fascinazione per i posti ruvidi e sconquassati, dove i conti con la storia sono ancora aperti.
Ho avuto la sensazione che tutto sia pronto per il turismo di massa, per infiocchettare i giorni dell’assedio nel menù servito ai veneti che arrivano a fiotti, complice il marco bosniaco che impallidisce di fronte all’euro.
Sono voluta scappare dalla città bella, alla ricerca del resto.
Il resto c’è. Ed è una distesa di cimiteri interrotta qui e là da minareti, case e chiese. Dovunque ci sia uno spazio libero, sulle colline arrampicate intorno alla conca così come nei parchi cittadini, i bosniaci hanno sepolto i propri morti: decine di migliaia. Lapidi bianche, con nomi incomprensibili, sobrie e dignitose, affondate nella neve alta mezzo metro: uno spettacolo che rompe il fiato.
Intorno, l’atmosfera è quella dell’alba atomica: crudele e stupenda. Saliti in cima ai palazzoni di Nova Sarajevo, Nicola e io non siamo riusciti a vedere cosa ci fosse sotto: tutto avvolto dal fumo delle ciminiere con cui gli europei stanno succhiando alla gente del posto ogni minerale che la terra abbia prodotto.
Il 1 gennaio, mentre nel gelo di un campo sperduto guardavo un video sui giorni dell’assedio, ho pensato a che figata deve essere stato fare il corrispondente durante l’ultima guerra dell’epoca moderna. L’ultima senza attacchi aerei, con la Nato tristemente immobile, i cecchini sui palazzi e le donne che correvano per attraversare le piazze, i bambini abbarbicati addosso e qualche patata infilata nelle tasche. Nella mia testa, ho proprio usato proprio la parola figata. E mi sono spaventata: come quando capisci che per il tuo istinto vanesio la guerra diventa un’immagine da raccontare.