Il potere dell’audiomessaggio


Parental advisory – explicit lyrics
(Una volta questo era un blog per persone serie.
E vabbè, è andata così)

È iniziato un giorno che ero in motorino e diluviava: dovevo presentarmi a cena da un’amica, ero in ritardo, volevo raggiungere lo schermo dell’iphone in tasca e digitare un messaggio ma la pioggia lo impediva. Quindi, ho parlato: un audiomessaggio su whatsup. Nessuna fatica, risultato immediato e zero errori di battitura – galattico, specie considerato che nel 90% dei casi ricevo (e invio) testi che sembrano in cirillico e vanno disambiguati con l’aiuto di Google translator.

Stamane, un paio di mesi dopo quel pomeriggio, raccontavo a un’amica una serie di vicende un po’ complicate, sempre su whatsup. Ero partita scrivendo, rispondendo a sue sollecitazioni. Poi, intravedendo al largo della giornata il rischio concreto di trascorrere due o tre ore con il telefono in mano, ho pensato di accorciare i tempi e deciso di rilasciare audiomessaggi (alle dieci della mattina quasi tutti hanno ancora l’illusione di combinare qualcosa di produttivo nella giornata testé iniziata). Ho prodotto tipo 29 audiomessaggi in un’ora, da 30 secondi l’uno. Con enorme soddisfazione: finalmente riuscivo a raccontare anche le sfumature della vicenda; quando si scrive, normalmente, si taglia via: non è che puoi stare lì a usare troppi aggettivi o dare ricchezza al discorso perdendoti in dettagli. Bisogna essere essenziali: Praticamente non si capisce una mazza, ma poi ti racconterò meglio  è un mio whatsup standard.
Stamane invece aggiungevo, sibilavo, non dovevo ricorrere agli emoticon, me la ridevo, simulavo voci diverse con un delizioso effetto teatrale; e insomma, io e la Cooked stavamo lì al con l’iphone in mano e 300 chilometri nel mezzo a raccontarci la rava e la fava in un corso di psicologia avanzata del creato via audiomessaggi.
Ed ero così esaltata – forse anche perché il mio cervello non ha fatto alcuno sforzo lavorativo in tutta la mattina – che ho scritto su facebook la seguente:

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Quindici minuti dopo, sostanzialmente la mia intera rubrica telefonica mi aveva deliziato con un audiomessaggio (premio della critica a mio cugino Titti: Heidi cantata in versione Carmen Consoli e Vasco Rossi, genio).
Tutti incluso Nicola che, con il precisismo che lo caratterizza (precisismo è volontario, se non fosse chiaro), si è sentito in dovere di spiegarmi: «Sai perché la gente non manda audiomessaggi normalmente? Perché è pericoloso. Hai presente come gli hacker e le spie ascoltano e manipolano le nostre conversazioni? Ecco, non vorrai mica che qualcuno prima o poi butti su Internet la tua voce manipolata che dice “Mi piace il ca**o”?».
Non ho fatto in tempo a rispondergli che ho ricevuto un secondo audiomessaggio da lui.
«Ecco, porca miseria, mi sono reso conto che ho appena detto “Mi piace il ca**o” esponendomi a rischi inutili».
Ho riso talmente tanto che, ritenendo la storiella degna di essere condivisa, un paio d’ore dopo mandato un audiomessaggio a una terza persona per raccontare la teoria di Nicola su “Mi piace il ca**o”. La quale terza persona ha apprezzato abbastanza da continuare a ripetere “Mi piace il ca**o” e a valutarne gli effetti.

Riassumendo: soltanto quattro ore dopo la scoperta del potere degli audiomessaggi, possiedo già le registrazioni di due noti professionisti, musicisti e quant’altro che sbraitano sulle loro preferenze sessuali, scandendo bene: “Mi piace il ca**o”.
Se continuo questa storia degli audiomessaggi per una settimana, probabilmente arrivo ad assicurarmi un posto di lavoro iperpagato.

 

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