Torneremo ancora a cantare


Quando è morto il Sic, ieri, ero io di turno al giornale. Mi ha chiamato un amico per dirmelo, infiniti minuti prima che lo scrivessero le agenzie. Ho iniziato a battere la notizia come una automa, condendo le informazioni di rito con un po’ di ricordi, personali e non.
Ma al momento di titolare, ho messo: “Simoncelli gravissimo”. Sapevo che non era vero, che stavo ingannando il lettore. Avevo già guardato il reply dell’incidente un numero sufficiente di volte per sapere che il Sic non si sarebbe alzato mai più.
Chiunque va in moto lo sa, che un colpo così ti ammazza. L’unico miracolato, nel 1983, fu Paolo Uncini: ma erano altre moto, e lui ebbe molta fortuna. Il Canz, che era con Uncini ad Assen quella volta, me lo ha raccontato più di una volta, di come si guardarono pensando che fosse morto. E poi la corsa all’ospedale con Beltramo, e siccome all’epoca il circo mondiale non era roba da ricchi nessuno aveva una lira e il Canz mise tutte le spese sul conto Gazzetta.
Comunque, insomma,  io ieri lo sapevo che il Sic era morto e non avevo il coraggio di scriverlo. Ma peggio è stato fare il mestiere, in 15 minuti. Buttare giù il necrologio senza lasciare che la tristezza rompesse l’argine della professionalità. Mi sarebbe piaciuto piangerci su, darmi il tempo di capire, ma non ce l’ho avuto. Ed è vero che di notizie tristi ne ho scritte decine e decine, ma quella della morte di Simoncelli mi ha fatto più male di molte altre. Forse non mi fa onore, ma siamo uomini e anche un po’ caporali.

Ps. Il pezzo più bello sul Sic, l’unico senza l’inutile retorica che accompagna ogni fine improvvisa e impensata, lo ha scritto Enrico Sisti su Repubblica. Cercatelo, se vi va – io online purtroppo non l’ho trovato.

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