The bad

Questi mettono l’aragosta nei panini. Dio li perdoni.

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The good

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Spring in Boston

Ho messo in valigia il computer, l’iPod, un quaderno di carta riciclata e Freedom di Jonathan Frenzen. Ce lo avevo lì da un anno e mezzo: mi è sembrato profetico.

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L’alba del giorno dopo

Poi, dopo una serata troppo tutto, essere svegliati da un ventenne esuberante che ti chiede di lottare contro l’imperialismo e l’opulenza, e nell’impossibilità di spiegare la contingente e debilitante battaglia contro ettolitri di tequila che ti girano tra la testa e lo stomaco, sommessamente capitolare.

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muri #1

Milano, corso Venezia

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May God bless you all

Dopo ti amerei ma sei come una sorella, credo di amarti ma ho troppa paura di perderti, vorrei amarti ma non sono capace, ti amo ma siamo troppo uguali, pensavo di amarti invece era solo attrazione fisica, ecco farsi spazio a spintoni anche ti amerei se potessi.
Ed è subito sera.

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Quattro gin tonic e un matrimonio

Ieri mattina mi sono presentata così rappezzata e in ritardo alla prima prova per l’abito da sposa di una cara amica che le altre due, vedendomi, mi hanno salutato amabilmente: Ma come sei messa, sembri Paris Hilton dopo una delle sue serate. Invece venivo solo da un turno al giornale finito troppo tardi nella notte, con successivi incubi legati alla visione coatta della finale di Sanremo – ho ancora una coscienza, io, e mi punisce per quello che faccio – e da un bagno di pigrizia vestito di pantaloni neri, maglione nero, stivali neri, cappotto nero, occhiali da sole giganti e, rigorosamente, neri.
Ho ordinato un doppio caffè e poi ancora un caffè e poi una bottiglietta d’acqua per diluire il confronto con le altre; infine ho pagato con elegante mancanza di senso (qualcuno la chiamerebbe generosità; il direttore della mia banca preferisce invece incapacità di tenere sotto controllo le spese) il conto di tutte e ci siamo infilate in questo negozio chic di San Babila.
Dieci minuti dopo affondavo in una poltrona di pelle così comoda che avrei potuto addormentarmici e invece continuavo ad allungare il collo per cogliere di sorpresa le rughe che iniziano a darmi qualche pensiero, nonostante mattina e sera mi spali il contorno occhi con la cazzuola, come fosse stucco.
Nel frattempo la futura sposa vestiva il suo sogno d’amore di taffettà, organza e seta, con tanta grazia da riuscire a fare sentire anche noi sempiterne cornute e mazziate come giovani pronte a schiudersi ai sogni.
Tanto che un moto di vita mi ha raddrizzato la spina dorsale e ho iniziato a vagare per il negozio accumulando accessori da provare: cerchietti con giganteschi fiori, cappelli a falde larghe, ombrellini di merletti in stile Quattro matrimoni e funerali.
E a quel punto eravamo così galvanizzate che per rendere tutto più british ho pensato di girarmi e chiedere alla signora che ci facesse arrivare dei gin tonic, proprio come le signore della Upper London.
Dopo eravamo così felici della trovata che non mi sentivo nemmeno più rappezzata: nella vita, alla fine, l’entusiasmo basta saperlo trovare.

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I can’t get no reputation

C’è quella roba che chiamano reputazione online, o qualcosa di simile. Significa come la gente parla di te su Internet – al bar, ormai, non ci si va più nemmeno per lamentarsi: troppa fatica schiodare le chiappe dal divano – e ci sono persino aziende che te la calcolano: mica a noi sconosciuti qualunque, ma a quelli fichi e famosi che twittano, bloggano, friendfeedano eccetera.
Io su Facebook c’ho messo sempre e solo delle demenzialità, qualche citazione di Bob Dylan nelle mattine di pioggia (ispirano) e le attività della gloriosa Cani&Porci’s League, il mio personale surrogato al non aver fatto un figlio negli ultimi anni. Di Twitter non ho mai capito un emerito, né peraltro mi ha interessato. Mi sono iscritta quando il direttore ha iniziato a tendermi dei tranelli – Ma hai visto cosa ha cinguettato tiziocaio? Guarda che ti brucia sui tempi – appena un attimo prima che il giornalismo italiano si reinventasse sul social network, in un agonismo à la page che, onestamente, mi imbarazza parecchio.
Comunque, insomma, mi sono iscritta e per due anni mi sono limitata a rilanciare roba di altri una volta ogni tre settimane, più inutile dell’ultimo disco di Vasco Rossi (sì, sì, questa l’ho messa apposta, autocitazione, pardon moi). Poi, nelle ultime settimane, ho scritto anche qualche idiozia più articolata, ma comunque poca roba. Ciononostante, qualche pazzo che forse mi legge in posti migliori ogni tanto pensa di seguire i miei presunti tweet: oggi, per dire, un collega di un altro giornale.
Mi sono presa la briga di cercare informazioni su di lui e sono capitata su una pagina personale in cui la parola più semplice è esegesi e la più difficile non so nemmeno pronunciarla e mi sono sentita in imbarazzo:  se gli altri fanno lo stesso con me e finiscono su geolina probabilmente pensano che l’ho rubato il mio posto di lavoro.

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Inarrivabile Tahrir

Poi leggi un Domenico Quirico così e capisci perché questo mestiere è il più bello del mondo. A saperlo fare.

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Gente banale

La mia migliore amica (una delle, che altrimenti le altre si offendono) è stata lasciata da un uomo e passa le giornate ad ascoltare Adele piangendo (se volete essere radical chic il giusto, pronunciate togliendo la e finale).
La banca l’ha chiamata facendole presente uno scoperto da qualche centinaia di euro e lei ha scritto una missiva al direttore della filiale che più o meno recita: “Il mio moroso mi ha lasciata e se lei non ha nemmeno il cuore di farmi un po’ di credito per farmi bere qualche birra la sera o comprare qualche maglioncino il sabato mi condanna all’infelicità eterna”.
Il direttore non ha colto. E io, che sono ragazza generosa con 19,37 euro sul conto, e soprattutto appena lasciata dall’uomo che amo, ma che dice di amarmi*, perché se no mica è divertente, pago le birre che entrambe dobbiamo bere per dimenticare.
Essendo le due però – lei e io – discrete bevitrici, la cosa inizia a costarmi parecchio. Quindi a breve il direttore chiamerà anche me. E va bene, chissenefrega. Una volta il Delille mi disse: “I soldi non è come li fai, ma come li spendi”. Io quel concetto lì in effetti ce lo avevo sempre avuto dentro, ma non avevo mai saputo esplicitarlo in un pensiero compiuto. Edo me lo ha offerto su un piatto d’argento, e da allora ho anche la perfetta giustificazione di ogni mia intemperanza.
Quindi alle nove e mezza di un martedì qualunque mi trovo sbronza e a mandare messaggi al mio ex moroso (ex ex: non l’ultimo, che ancora non riesco a mettergli l’ex davanti, quello prima). Uno con cui avrei anche messo su casa, prima che la casa metaforica crollasse. Ma il ragazzo – incredibilmente – non porta rancore, e riesce persino a darmi consigli. Tipo: Non bere troppo. O forse sì.
Che vuole dire che tutto sommato non sono cambiata molto. O che mi conosce ancora molto bene. O che forse le storie sono tutte uguali: uno ti dice ti amo, poi scappa, poi sta da solo un po’, poi incredibilmente scopri che ha messo su famiglia con qualcun’altra.
Nel frattempo il direttore della banca continua a chiamarti per l’annosa questione dello scoperto. I bancari. Loro sì che sono gente banale.

* Ahahah, risate a fondo sala. Forse, forse, sarà stato un ti voglio bene. O magari solo bene. 

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