Beirut/Dispacci #5


La parte meridionale di Beirut è un buco nero scomparso anni fa dalle mappe. E dalle coscienze.
Superata la divisione est/ovest con la fine della guerra civile, una linea netta è stata tracciata sotto Manara e Achrafiye; la contrapposizione non più tra quartieri arabi o cristiani, bensì tra zona Hezbollah e resto del mondo.
Bollivo da giorni nel desiderio di spingermi laggiù, dove un sacco di gente, incluso molti arabi che abbiamo conosciuto, non è mai stata (Domani andiamo nel sud di Beirut. Bello, nella costa, Tiro, Sidone? No, no, nel sud della città. Ah. E cosa ci andate a fare?). Non che sia così strano: si fatica a trovare una ragione per cui chi conosce bene la miseria della storia di questo posto dovrebbe andare a infilarsi laddove oggi si manifesta nel modo più evidente.

Sotto un caldo micidiale, e dopo essermi coperta in modo consono – Edoardo, la mattina: Ecco, magari non ci venire vestita così –, ieri saliamo su un service per Haret Hrek, quartiere generale di Hezbollah. Il paesaggio muta via via che ci avviciniamo, con le case sempre più baracche e sempre più devastate da bombe e granate, bandiere della milizia sciita a garrire fiere, i muri letteralmente tappezzati dell’effige lucidata in photoshop dell’Ayatollah Fadlallah, morto una quindicina di giorni addietro. L’autista ci scarica perplesso a un angolo della strada, e nel momento in cui mettiamo piede fuori dallo scassone, in una scena quasi da cartone animato, decine di sguardi si posano istantaneamente su di noi. Ci avviciniamo a un baretto d’angolo, una casupola di lamiera con un televisore saldamente piazzato sul marciapiede e un capannello di uomini a semicerchio intorno: il caffè arabo scioglie molte situazioni. Nessuno ovviamente parla inglese, salvo un omaccione con una maglietta con su scritto Last night I met a bitch, immagino regalo di un parente simpaticone emigrato in terra straniera. Prima domanda: Siete americani? Biondicci così, in effetti non combaciamo molto con l’immagine dell’italiano pizza-mafia-mandolino per cui il mondo ci rispetta tanto. No, no, turisti italiani. Ci studiano. Il loro chiodo fisso sono le spie: un turista americano abbastanza pirla da girare per il quartiere con una telecamera è stato imprigionato e non si sa cos’altro di recente. Non è che siano cattivi, ma le foto proprio gli fanno girare i coglioni; noi, nel dubbio, abbiamo lasciato a casa persino i taccuini, caso mai pensassero che volessimo appuntarci qualche obiettivo strategico. L’omaccione che ha incontrato la puttana ci fa sedere, ci servono i caffè e iniziano a farci domande, a farle a Edo anzi, ché alle donne si parla non molto. E’ tua moglie? No, amica. In Italia non vi sposate? Il concetto di amicizia tra uomo e donna deve sfuggirgli. La televisione intanto propone immagini di un raduno di Hezbollah, una sorta di convegno: decine di uomini e donne sfilano chiamati da una voce che ha lo stesso tono dei filmati della Tass, l’agenzia di stampa dell’Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. Ci chiedono se conosciamo Hezbollah, ci indicano in tele il loro capo sovraeccitati. Noi li ascoltiamo interessati, loro sembrano quasi contenti di aver qualcuno lì, come fossimo il pezzo forte di un circo itinerante. L’ultima volta che un turista deve essere passato per Haret Hrek probabilmente non era ancora caduto il Muro di Berlino.

Dopo il caffè camminiamo per il quartiere. Con la Beirut che ormai ci sembra di conoscere non ha nulla da spartire; i canali di scolo delle fognature confluiscono in strada dove la verdura caduta ai venditori ambulanti è lasciata a marcire, le scritte sono unicamente in arabo, negozietti e mercatini si affastellano su marciapiedi sporchi e sforacchiati, intere costruzioni cadono a pezzi: Gemmayze in confronto sembra l’Ile de France. Soprattutto, qualsiasi edificio,  casa, negozio o locale pubblico, è listato a lutto per la morte di Fadlallah, e le foto dei martiri si rincorrono l’una dietro all’altra, tutte ignobilmente ritoccate per farli apparire più simili a Berlusconi quando annunciò la sua discesa in campo. Ci imbattiamo in quella che probabilmente è la sede locale della milizia, un fortino circondato da barriere con due guardie all’ingresso: tiriamo dritto. Poco dopo, però, ci fermiamo per un altro caffè sotto una casupola di lamiera senza porte né finestre; Edo decide di rompere il ghiaccio chiedendo a qualcuno di giocare a backgammon. La richiesta crea scompiglio; tre o quattro persone si avvicendano sulla seggiola di fronte alla sua – io siedo sempre rigorosamente al suo lato, come una brava habibi fedele – poi il boss indiscusso si fa strada e prende posizione. E’ un tipo con gli occhi più scuri e perforanti che abbia mai visto; guarda Edoardo con una fissità inespressiva, come se lo inchiodasse a distanza di sicurezza. Io osservo la scena senza proferire parola (e con chi, poi?) e quasi prego silenziosamente che Edo perda la partita. Quando una scarica di kalasnikov risuona nell’aria la preghiera diventa quasi esplicita: Edoardo, scusa, era quello che penso io? Sì. Beh magari se lo fai vincere è meglio. Tre minuti dopo un’altra sventagliata. Non che abbia paura di qualcosa in particolare, però proprio proprio a mio agio non mi sento. Edo, dai, fallo vincere. Il tizio, comunque, ci pensa da solo a farci capire chi è il re del backgammon; si aggiudica la mano, poi ci guarda perentorio: Welcome. Ci congeda senza farci pagare il conto e noi ce ne andiamo con onore (Comunque ha vinto per culo, Edo ci tiene a precisare; sarà, ma va bene anche così).

Mentre torniamo nel comfort di Beirut nord stiamo zittini, ognuno a pensare che tutto quello che avevamo creduto del Libano fino a quel momento non è poi così vero. Semplicemente, parlare del Libano come totalità – ma anche della sola Beirut – è un’operazione concettualmente scorretta: qui ci sono almeno due paesi, e probabilmente molti di più, nella stessa striminzita terra.
Domani ce ne andiamo a sud, al confine con Israele; lì, forse, la matassa potrebbe sciogliersi. O magari incasinarsi ulteriormente. In effetti, mi pare più verosimile.

  1. avatar

    #1 by momo on July 27, 2010 - 13:01

    se vai nella strada che sta tra il mare e l’aereoporto, ci trovi i regazzini che fanno le penne con i motorini (di fianco agli aerei che atterranno… belle foto

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    #2 by momo on July 27, 2010 - 13:02

    almeno, il venerdi quasi sicuramente li trovi, in settimana non so

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