La Patagonia Dispacci #5


Infine il vento si è affievolito, in corrispondenza del canale di Beagle: 30 nodi, una bazzecola rispetto agli 81 delle raffiche che qualche ora prima avevano spinto mezza fiancata sott’acqua. La nave fantasma è tornata a brulicare di vita e di appetiti: a ora di cena, americani e canadesi premevano contro la sala ristorante come gli ultras che si arrampicano sulle barriere allo stadio. 

Dopo essersi (esserci) abbondantemente rifocillati, il personale di bordo ha fatto scattare il karaoke nel bar in cui qualche indomito inglese aveva continuato a sorseggiare whiskey incurante della tempesta. E si sa, al karaoke io non posso resistere, tantomeno dopo ore di penitenza sul letto della cabina. Mentre gli altri si chiedevano se fossero sufficientemente intonati per intrattenere un pubblico – domanda superfluea per me: mi hanno cacciato da un bar di Beirut tanto ero patetica nell’esecuzione sbronza di Time after time – avevo già in microfono in mano per il primo pezzo: It’s been a hard days night, and I have been walking like a dooooog (non ringrazieremo mai abbastanza i Beatles, ricordarlo sempre).

Mentre gli altri si scaldavano, ho buttato lì anche Like a prayer e nel dimenarmi goffamente un’epifania mi ha colto mostrandomi il talento intramontabile della Ciccone (nonché i muscoli che ha sulle braccia mentre simula la crocifissione: non possono essere umani). Finché una canadese sui 60 anni che avevo osservato tutto il giorno per uno strepitoso cappello a forma di maiale degno della Cani e Porci’s League degli anni migliori si è esibita in un remake di Edith Piaf, col marito che affondato in un bicchiere di gin tonic le gridava Ti prego, non farlo. E’ bastato questo per farmela applaudire con insana convinzione, e al termine del suo giro è venuta a propormi un duo: gli Eurythmics. A questo punto la gente e lo staff ci guardavano già col terrore negli occhi, più o meno supplicando chiunque altro in sala di prendere in mano il microfono al posto nostro. Un paio di ragazzi dello staff, barista incluso, sono stati gettati in pasto ai pesci, producendosi in improbabili ballad pop sudamericane alla melassa che, diciamocelo chiaro, sarebbe da toglierli il diritto di espressione della Costituzione finché fan ‘sta roba. 

In ogni caso io e la canadese col cappello a forma di maiale ci siamo impossessate della scena e abbiamo prima cantato una stupefacente Sweet Dreams – io facevo cori e tappeti, oltre alle mie parti cantate – e poi I gotta a feeling, e a questo punto la canadese era ingestibile e oltre a saltare sul posto come in una lezione di educazione fisica ha iniziato a suggerire che saltassimo giù dal divano (Jump off the sofa) del bar salone. 

Vi dico solo che  è finita con lei che gridava Viva l’Italia e io che che rispondevo Quebec libre! Lei, quantomeno, poteva addurre come attenuante l’aver bevuto. 

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  1. avatar

    #1 by edo on March 13, 2015 - 18:12

    ho ancora i brividi, pensando a Beirut.
    altro che Hezbollah.

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