Essere o avere #2

Succede intorno ad aprile, ogni anno. Sento l’ansia arrivare con le prime giornate di sole, gli amici che si esaltano e fanno progetti. Io tergiverso.
Poi qualcuno inizia a domandare: La moto? L’hai tirata fuori? Quando andiamo a fare un giro?
Fischietto. Mah, non ancora, settimana prossima, il brutto tempo, l’assicurazione, sono rimasta chiusa nell’autolavaggio, il ginocchio fa contatto col gomito.
A maggio vado a salutarla. Maestosa e acciaccata. Bella d’una bellezza d’altri tempi. Malata di malattie che i meccanici di oggi non curano.
L’ho pagata 2.700 euro quattro anni fa, ne ho spesi il doppio nel frattempo: impianto elettrico, freni, tre batterie (conseguenza dell’impianto elettrico), due specchietti e ancora devo risistemare il serbatoio.
Ho paura a provare ad accenderla. Lo so che non partirà: non parte mai. Mai a inizio stagione. Talvolta fatica anche a metà.
Nessuna eccezione stamane. Avevo già smontato la batteria, oliato la catena, aggiustato la sella; vado in giro con un cacciavite e tre punte nella borsa da giorni, ché negli anni ho anche imparato a fare le cose minime – con grande soddisfazione – per proteggermi dai centri Ducati, dove vogliono 100 euro per dire Buongiorno.
Stavo lì, sporca di grasso, con l’aria tirata e il carburatore ingolfato, e il sospetto atroce che questa volta sia stato il motorino a tradirmi. Di fianco passavano manga giapponesi con nomi fatti di sole consonanti e accensioni automatiche precise come orologi svizzeri, cilindrate mille di teutoniche affidabilità e dimensioni, persino maranzate americane per quelli che confondono la circonvallazione con la Route 66.
E mi sono chiesta, come ogni anno, perché non ho comprato una moto diversa, al posto di un bicilindrico a carburatore vecchio di 13 anni uscito da Borgo Panigale, che nemmeno Valentino Rossi sa farla andare e dire che due lire e qualche anno di esperienza ce l’ha. Ma, come ogni anno, avevo già la risposta: l’anima non si paga; il meccanico, tutto sommato, sì.
Pronto Gianni ci risiamo, quando vieni a prenderla? Mi sa che è il motorino questa volta…

update: Mi ha appena chiamato il meccanico: 350 euro. Maledetto romanticismo.

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Poesie nuove

La mia risibile vita culturale, impantanata da un paio d’anni tra le sentinelle del Medio Oriente e le secche affettive della Darsena, può fregiarsi di due-dico-due esperienze da raccontare.
Giovedì sono andata al Macao – il grattacielo dei Ligresti occupato la settimana scorsa: finché c’è vita c’è speranza – a vedere Guido Catalano: un po’ poeta un po’ cabaretista un po’ conversatore divino.
Catalano è un torinese 40enne con due musicisti genovesi a metà tra Tom Waits e Pancho Villa: pungenti, accoglienti, ironici il giusto.
Il titolo del suo ultimo libro è Ti amo ma posso spiegarti, il che chiarisce perché lo abbia trovato perfetto dopo qualche ora di scambi di vedute con il mio ex.
Mi sento di consigliarlo caldamente, anche chi non ha ex recenti né passati: basta avere un cervello.
Venerdì, invece, ho ascoltato il monologo di due ore – ma pare mezza – di Ascanio Celestini in Pro Patria. Su Celestini c’è poco da dire: è un attore stupefacente. E un pensatore che ci vuole, magari in alcune parti vagamente vetero-retorico (a me piace così, a dire il vero, ma mi hanno insegnato a essere intellettualmente onesta: che palle), della sinistra che sciorina formule vecchio stampo.
O almeno questo pensavo, mentre raccontava con la rincorsa, inscenando un detenuto che immagina un dialogo con Mazzini e ricostruisce la storia del Paese e dei suoi risorgimenti (più d’uno), lo stato attuale delle carceri. Mi dicevo: facile, sì, dire che è inumano, ma la punizione, la pena, il dolore, i soldi per mantenere i carcerati, e perché dobbiamo farcene carico noi, e insomma.
Poi mi è venuto in mente che forse è proprio questo il limite del pensiero moderno e certamente di molta sinistra: non riuscire più a pensare in grande, svincolati dai numeri e dalla razionalità quotidiana. A fare il salto verso un concetto più alto e umano e utopico, quindi a cui tendere.
Ecco a cosa serve andare a vedere Ascanio Celestini. A ritrovare una direzione. Alla modica cifra di 14 euro: altro che finanziamento ai partiti.

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Codici di geometrie esistenziali #1

La signora ecuadoregna che fa le pulizie  a casa mia mi ha chiesto un aumento e glielo ho concesso, dopo tre minuti scarsi di spiegazione (porque sabes, el pais es muy pobre y mi hija no tiene que comer y bla bla).
Io sono sei mesi che entro nella stanza del direttore e gli chiedo un aumento; dopo un’ora di spiegazione esco a mani vuote.
Mi sa che le propongo uno scambio: lei fa la giornalista, ché con le parole evidentemente è meglio di me, e io vado a pulire case altrui. Ché forse guadagnerei anche di più.

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Daje ar Pasok

Per la mia rubrica giornaliera, La cazzata più grossa battuta oggi dall’Ansa (normalmente mi limito a vocalizzarla ai miei, oggi ve la meritate tutti)

GRECIA: ELEZIONI, IN ALA PSICHIATRICA CARCERE VINCE PASOK
A KORYDALLOS SOCIALISTI PRIMI TRA DETENUTI CON PROBLEMI MENTALI
ATENE
(ANSA) – ATENE, 8 MAG – I detenuti delle carceri greche hanno seguito la tendenza nazionale, votando per i partiti minori e demolendo Nea Dimokratia e Pasok. Con un’eccezione: l’ala psichiatrica del carcere ateniese di Korydallos, il più grande del Paese, dove il Pasok ha raccolto il maggior numero di voti, ovvero 20. Lo dice al sito Newsit.gr Antonis Aravantinos, presidente del sindacato delle guardie carcerarie: “I detenuti hanno fatto a pezzi il sistema bipartitico, hanno votato per Tsipras (Syriza), Alba dorata, Greci indipendenti e in generale per i piccoli partiti. Il Pasok ha vinto solo nell’ala della prigione di Korydallos dove si trovano detenuti affetti da malattie mentali, ricevendo 20 voti”.

 

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Bunga burlesque

Diciamocelo, insomma. Se gli speculatori internazionali non fossero barbosi vecchietti con problemi di prostata, lo spread a noi ci farebbe un baffo. Che hai voglia la serietà, i rendimenti, l’eredità del marco: creatività, brillantezza, capacità di riemergere sempre non vanno all’asta.
La moda? Il design? L’architettura? Macché. Il burlesque. Per giovani arzille. E  vecchietti con problemi di prostata.

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Pensieri che la notte vanno bene ma la mattina magari no/1

Mi chiedevo mentre rincasavo in un clima emotivo da Gotham City se accetterei che scoppiasse una guerra se sapessi che mi ci mandano da inviata. Distruzione, dolore e strazi in cambio di essere lì a guardarli e schivarli e scriverli, solo perché nella vita ho sempre voluto quello.
La cosa imbarazzante è che, appena allentato il giudizio morale su me stessa, non sono riuscita a rispondermi.

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Grazie del Trota grazie del Trota, bis

In questa primavera che pare autunno, meteorologico e dell’anima, cosa ne sarebbe del nostro umore senza la Lega e il quotidiano spettacolo comico (non proprio gratis, ma vabbé)?
I miei ringraziamenti al Trota, Cooly Noody, la Badante Nera, il Cerchio Magico e i Barbari sognanti.
Nomenclatura da romanzo di Tolkien, demenzialità lumbard.

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Libera nos a malo

Negli ultimi sei mesi sono andata una settimana in ferie a Lampedusa e un’ape car (un’ape car, sì) mi ha investito. Sono stata qualche giorno in Polonia con il mio ex moroso, e dopo una settimana ci siamo lasciati.
Mi hanno rubato il motorino due volte e quattro il casco.
Ho fatto due giornate di riposo dal lavoro: la prima l’ho passata in commissariato a fare denunce di furto, la seconda – oggi – al parco, dove mi hanno rubato la giacca, alcuni libri e le scarpe appena ritirate dal calzolaio.
Le disgrazie della vita sono altre, intendiamoci. Ma se qualcuno conosce un esorcista e volesse consigliarmelo, sarei assai grata.

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e sia chiaro che una virgola in più sarebbe di troppo

Like the story of life, of your life
Is hello, goodbye
she’s only happy in the sun

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Requiem

Per anni ho messo in valigia un libro di Tabucchi in ogni mio viaggio: si trattasse di andare dai miei al mare o dall’altra parte del mondo.
Lo scoprì in Spagna, che ero già grande e lui famoso. Con il naso nelle sue pagine, da cui non riuscivo ad alzarmi per ore intere, capì cosa voleva dire raccontare i turbamenti dell’animo e della vita con colori, atmosfere, profumi, sapori, città, fantasmi.
Le parole non erano mai troppe; i luoghi non erano mai abbastanza.
Mi insegnò ad amare il Portogallo e Pessoa, dei cui segni andai in cerca con una combriccola sgangherata di amici appena ventenne. Mi insegnò che si potevano costruire interi mondi, giocando con le parole. Mi insegnò che in un libro poteva esserci tutto quello che avevo cercato senza riuscire a trovarlo altrimenti.
Mi innamorai di Tabucchi come ci si innamora di un fidanzato. Lessi tutto quello che aveva scritto nell’arco di un mese. E poi aspettai, con pazienza, articoli, nuove uscite, riedizioni.
Tabucchi è morto ed è la prima volta che muore uno scrittore e mi sento orfana di qualcosa. Di ingiustizie è pieno il mondo e la vita, ma sapere che non scriverà più nulla è un’ingiustizia in più.

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