Piazza Tahrir, Milano


Sono stata alla manifestazione di Libertà e Giustizia, proseguimento ideale di quel Resistere! Resistere! Resistere! con cui Borrelli quasi dieci anni fa risvegliò le coscienze italiane già assuefatte al berlusconismo.
Ci sono andata combattendo la stanchezza e la pigrizia, ma ne sono uscita rigenerata.
C’erano dieci mila persone. C’era l’Italia che non solo non si rassegna, ma sa fare chiarezza in un presente deviato e pruriginoso. C’erano oratori di capacità eccezionale, da Gustavo Zagrebelsky a Umberto Eco, passando per Roberto Saviano, Concita De Gregorio,  Susanna Camusso. C’era la voglia di insistere: per riprendersi, prima ancora dell’Italia, dei temi di discussione degni di questo nome. Non il Bunga bunga ma il lavoro, i giovani, la cultura. In un crescendo di consapevolezza.
Ha parlato Loretta Zanardo, l’autrice del documentario Il corpo delle donne, summa spiegazione della società dell’immagine che crea ragazzine anoressiche e 16enni che prendono 9mila euro a sera per farsi guardare dal presidente del consiglio.  Tra le molte cose intelligenti che ha detto (“Un altro corpo è possibile” diventerà il mio mantra), mi ha colpito l’invito a non spegnere la televisione come gesto di egoismo e autodifesa. Ha spiegato, in sostanza, che finché le persone dotate di senno e capacità critica continueranno a rifiutare di entrare in contatto con i mostri che la tivù ha prodotto – da Non è la Rai a Uomini e donne c’è solo l’imbarazzo della scelta – sarà impossibile capire quanto e perché tutto sia precipitato. Bisogna conoscere il nemico, per abbatterlo. E bisogna aggregarsi per trovare il coraggio e la volontà di articolare una risposta forte e comune.
Lei lo ha fatto producendo il film, che oggi è diventato materia di studio in molte scuole. E’ illuminante per capire la condizione femminile e, più in là, anche certe forme degenerative dei rapporti interpersonali: fino ad arrivare ai festini di Arcore.
Concita ha letto il fondo che aveva scritto per l’edizione odierna dell’Unità: un pezzo stupendo, lucido e commovente. Da stampare e appendere sopra al letto, come una poesia che si recita nei giorni tristi.
E mentre Moni Ovadia invitava tutti alla mobilitazione permanente, ché di questo c’è bisogno oggi, per un secondo mi sono sentita parte di una resistenza. Gad Lerner dal palco aveva appena dato notizia delle dimissioni dal vertice del partito di Mubarak, e ho pensato che, con le dovute proporzioni, il Palasharp in quel momento era la nostra piazza Tahrir. Senza carri armati ed esercito, ma comunque segno di una rivoluzione delle coscienze. Di un Non ci sto tracimato dagli animi esausti, da vite segnate in molti modi da vent’anni di scempio politico, umano e istituzionale. E di diritti negati: perché anche quello al giusto salario o alla possibilità di mettere al mondo un figlio è un diritto inalienabile.

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    #1 by momo on February 8, 2011 - 06:40

    ma il fatto che appari sotto “Firme” indica uno scatto – tipo, che so. il ficus o la poltrona in pelle-umana?

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    #2 by gea on February 8, 2011 - 10:37

    come no, e c’è anche una pioggia di gettoni d’oro che mi accoglie all’ingresso

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    #3 by momo on February 8, 2011 - 11:25

    beh, su, non fare cosi! hai pur sempre diritto alla tua foto sotto il riflettore di tre quarti cha fa tanto Gruber… Non c’e’ ironia, giuro – ok, forse un po’. Ma non tantissima.

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    #4 by giovanni on February 8, 2011 - 15:35

    Ehi Gea,
    sull’evento al Palasharp vorrei segnalarti questo post di
    Giovanna Cosenza….

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