Archive for January, 2013
Giudizio non universale
Posted by gea in gea and the city on January 31, 2013
E venne il giorno della distribuzione dei cervelli, e dio si dimenticò la lista.
Don’t ask me why
Posted by gea in gea and the city on January 28, 2013
– Come stai?
– Così così, ma se piango tutto oggi e tutto domani, mercoledì sarò in forma.
Pechino Dispacci #11
Credo che le foto del milite che fa la guardia al mausoleo di Mao e dei turisti in posa davanti all’Assemblea del popolo spieghino più cose di questo Paese di molte guide.
La differenza tra la Cina e le molte autocrazie pronte a scoppiare, o già scoppiate, sta in fondo tutta lì, nell’orgoglio con cui il cinese afferma la propria identità e differenza, e per cui è eternamente riconoscente al Grande Timoniere che ha riunificato il Paese ridandogli orgoglio e dignità.
Ovviamente le differenze non sono solo queste: qui, con un po’ di fortuna, si può stare bene e vivere una vita decente, con comodità crescenti e inimmaginabili fino a due decenni fa.
Il senso di progressione economica e la corsa verso il futuro annientano in molta parte il discorso politico e la richiesta di spazi di libertà maggiore: il Partito consente quasi tutto quello che uno che non ha mai avutoniente può desiderate. Il che, è implicito, non include la lettura del New York Times.
Come mi ha spiegato un insider, l’unica cosa che fa veramente incazzare la gente qui è quando l’arricchimento e gli abusi del governo limitano le possibilità dei singoli di arricchirsi e di progredire.
Dunque, la libertà di espressione, di informazione e persino di movimento al di fuori del territorio nazionale (il passaporto non è un documento: è un privilegio) sono ancora desideri di nicchia: una nicchia magari numericamente numerosa, per la consueta legge dei grandi numeri, ma credo onestamente ancora non statisticamente significativa.
Lo stesso insider ha aggiunto, e non mi pare un caso, che l’unica cosa che potrebbe fare saltare il tappo della Cina è l’arrestarsi della crescita economica nelle province interne, quelle per lo più ancora agricole e povere. Senza nulla da perdere, la gente di queste zone potrebbe scatenare un putiferio qualora la distanza tra sé e la popolazione elitaria delle città costiere (Shanghai su tutte) non dovesse colmarsi. Per la stessa ragione, a Shanghai (dove tutti hanno molto da perdere) oggi seguono con molta attenzione l’evoluzione della nuova guardia appena nominata alla guida della Cina per un decennio.
Se non sbaglieranno le loro scelte, probabilmente un altro decennio di pace è assicurato.
Pechino Dispacci #10 e tre quarti
Scorci.
L’uomo che fa la guardia al mausoleo di Mao (chiuso) e i turisti (cinesi) che si fanno le foto davanti al palazzo dell’Assemblea del popolo, piazza Tien An Men.
Pechino Dispacci #10
Nella metro di Pechino c’è una tale concentrazione di umanità e batteri che uno scienziato appena un po’ volenteroso potrebbe ricreare il big bang.
Pechino Dispacci #9
Io glielo ho buttata lì al proprietario del ristorante (consigliato sulle guide) che queste carpe qui non avevano un aspetto proprio eccellente per essere esposte nella vasca a dimostrazione di quanto è fresco il pesce…
Pechino Dispacci #8
Sono entrata in un negozio di dischi di Nanluo Guxiang, un hutong di Pechino rimesso un po’ a nuovo ma ancora abbastanza autentico. Suonavano i Velvet Undergorund, ragione per cui mi sono fermata, oltre al fatto in realtà che era il primo negozio propriamente di musica che vedevo (tutti vendono un miliardo di cianfrusaglie e magari anche cd di qualche copia locale di Cindy Lauper: questo vendeva solo dischi, e ben ordinati).
Insomma, sono entrata e ho iniziato a conversare con il commesso, non con il mio metodo consueto – io parlo italiano, l’altro cinese e vediamo se abbassa il prezzo o se mi molla nel posto giusto – bensì in inglese.
Il ragazzo, oltre ad avere una discreta conoscenza musicale – discreta per uno che non può accedere a YouTube perché è bloccato dal governo – aveva anche una certa padronanza linguistica, quindi gli ho chiesto di farmi vedere un po’ di roba cinese.
Mi ha messo su qualche disco e alla fine uno mi ha persino convinto (una versione pechinese e molto peggiore dei Sonic Youth ma comunque con un suo piccolo perché) e ho deciso di comprarlo.
Mentre tiravo fuori i soldi, non proprio pochissimi, mi sono chiesta a chi sarebbero finiti: alla band, all’etichetta (assolutamente sconosciuta), al partito?
Quindi, con una certa ingenuità, gli ho chiesto: Hey ma come funziona con la musica qui? È come la stampa? Deve passare attraverso la censura?
Lui ha preso a guardarmi inebetito senza parlare. Ho pensato non avesse capito.
No, dico, i musicisti, devono passare qualche controllo, chessò, c’è un ufficio apposta?
Silenzio.
Voglio dire, uno suona quello che vuole? Sono liberi?
Intanto è entrato un cliente. Scusa, il mio inglese non è così buono.
Shanghai Dispacci #3
Alla luce del sole, comparso inaspettatamente dall’orizzonte di smog, i miei colpi di sole non paiono proprio proprio eccezionali, ecco.
Cina Dispacci #4
Credo che in Cina sia successo questo: il Paese è cambiato prima che la gente potesse cambiare.
Le Olimpiadi, l’Expo, la finanza e il celodurismo da partito unico che sfida il mondo hanno portato treni veloci, un po’ di grattacieli, aeroporti, grandi alberghi. Ma è come se li avessero costruiti in mezzo al deserto, per almeno due diverse ragioni.
La prima è che, esclusi i funzionari del governo e la grande mole di lavoratori che girano intorno all’apparato (hostess, bigliettai, controllori, tour operator, poliziotti: tanti, visto che l’apparato è grande, ma pochi in valore assoluto rapportato a 1,3 miliardi di abitanti), la maggior parte dei cinesi non sa nemmeno come si usano queste infrastrutture.
L’altro giorno alla biglietteria self service della stazione super nuova di Shanghai davanti a me c’era questa ragazza che ha passato cinque minuti di numero a cercare di fare il biglietto senza riuscirci. Dietro la calca spingeva e grugniva arrabbiata, finché esasperata non mi sono affacciata e ho cercato di capire cosa non funzionasse: stava cercando di infilare la banconota del pagamento accartocciata. Cioè provava a spingerla dentro alla fessura tutta arrotolata e piegata in quattro, come se dovesse metterla in un contenitore, tipo la famosa urna degli autobus di Pechino.
Ero incredula: la ragazza di fronte alla macchina aveva dipinto in volto lo stesso sgomento che avrei io di fronte a un reattore nucleare da avviare. Con la differenza che di certo non proverei a farlo buttando nel nucleo un cerino acceso.
Non lo dico per prenderla in giro: anche io sono sgomenta. Ci raccontano da anni la Cina super potenza, ma la storia è lungi dall’essersi compiuta. Il cuore del Paese, il nerbo vitale, appartiene ancora a un’epoca fa. Anche se compra smartphone che, peraltro, usa per lo più in modo iper chiassoso per guardarci la televisione, incluso a tavola.
La seconda motivazione è che i grattacieli e i treni super veloci sono solo una frazione minima della Cina. Il Partito bombarda i cittadini e l’Occidente di immagini di palazzi avveniristici in costruzione a Pechino, Canton, Shanghai. Ma sono poche decine, e in pochi posti. La realtà è che dovunque si appoggi lo sguardo fuori dal perimetro urbano, ovunque, stanno costruendo migliaia, forse decine di migliaia di palazzoni simili a mostruose trappole per topi.
Mi spiegava una docente universitaria britannica che vive qui da 30 anni che il progetto del Partito per il prossimo decennio è fare sparire alcune città e concentrare la popolazione in alcune macro aree dove è più facile trovare lavoro (e forse controllarla?).
Ora, è vero che per chi vive in baracche di lamiera senza alcun servizio e non sa di che far mangiare i figli non avrà certo il mio snobismo nel definire questi complessi abitativi.
Ma guardate le foto (purtroppo sempre rubate dai treni in corsa) e ditemi se è lo sviluppo mirabolante di cui tanto si parla. E poi chiediamoci anche se tutte le società devono fare gli stessi errori: perché anche noi ci siamo passati da quel degrado li. Solo che eravamo meno.
nota bene: le foto sono scattare di seguito. I palazzi sono tutti vicini.