Archive for category gea and the city
Rolling
Posted by gea in gea and the city, musica on October 17, 2010
Ma c’è ancora qualcuno che nell’eterna disputa tra i Beatles e gli Stones pensa che fossero meglio i primi?
(Keith Richards, nell’autobiografia che esce il 26, racconta di aver spiegato così a John Lennon dove sbagliassero gli scarafaggi: «You wear your guitar too high. It’s not a violin. No wonder you don’t swing. No wonder you can rock, but not roll»).
Tutta panna
Posted by gea in fermo immagine, gea and the city on October 1, 2010
Ci sono alcune mattine che mi guardo allo specchio e mi spavento per la somiglianza con mia madre. Mi sto mettendo la matita intorno agli occhi e mi vedo lei, come nei miei primi ricordi di infanzia: io seduta sul bordo della vasca da bagno e lei che si trucca con la sigaretta sempre accesa appoggiata al mobiletto.
Uno dei più grandi rimpianti che ho è sapere che non mi ha visto donna. Tra tante altre cose che la vita non ci ha concesso, lei non ha avuto il tempo di vedermi smettere i panni dell’adolescente per diventare una giovane adulta che credo le sarebbe piaciuta. E io non ho avuto il tempo di godermi una quotidianità intima e rassicurante, il confronto costruttivo, la dolcezza dell’amore incondizionato.
Sono passati molti anni ormai e il vuoto che ha lasciato è diventato una presenza con cui ho imparato a convivere. Ma in questi primi giorni di autunno mi trovo a sognare che squilli il telefono e ci sia lei dall’altro capo della cornetta, a chiedermi come è andato il lavoro e se ci beviamo una cioccolata calda.
Non si lamenterebbe nemmeno più che mi metto le sue cose, perché finalmente peso meno di lei.
Ti amo da generazioni
Posted by gea in gea and the city on September 12, 2010
Oggi mi sono innamorata. Non succede spesso e soprattutto non dura quasi mai molto.
Ma lui lo amavo già prima di vederlo, e lo amerò per sempre, ora anche di più.
warning sign
Posted by gea in gea and the city on September 9, 2010
Ho un metro infallibile per misurare il mio tasso di stress: il rapporto con la moto.
Ci sono mattine in cui ho paura di tutto, dei vecchietti che zigazagano sulle cinquecento e dei camioncini che svoltano all’improvviso, delle mamme coi bimbi in bicicletta e degli automobilisti che aprono le portiere senza guardare.
Stamattina, mentre mi sfavavo tra un prima-seconda-terza-prima, mi sono ritrovata a pensare che forse avrei dovuto prendere la metro per andare in redazione, ché il centro è troppo pericoloso.
Stasera alle 23 spengo il computer, giuro, e mi metto a leggere un buon libro.
recovery
Posted by gea in gea and the city, musica on September 4, 2010
Poi di prima mattina l’iPod mi ha tagliato le gambe con Let Down mentre sceglievo cereali in scatola dallo scaffale. Non mi sono ancora ripresa: colpi bassi che non si dimenticano in fretta.
atomic sons
Posted by gea in gea and the city on September 2, 2010
Ieri sera il Fur mi ha portato a cena per festeggiare il mio nuovo lavoro. Mentre ingolliamo tartare di tonno con carciofi e morellino di scansano se ne esce: Sai mi sto interessando un po’ di fisica quantistica.
Un carciofo mi va di traverso. Prego?
Fisica quantistica, hai presente?
Scrollo il capo, io fiera che la cameriera mi abbia chiesto il nome del mio parrucchiere poco prima. Già, insegnare economia all’università di Londra e l’assegno di ricerca a Chicago non erano sufficienti, Fur, ci mancava la fisica quantistica.
No ma guarda, è molto affascinante.
Davvero? Tipo cosa è affascinante?
Bè, tipo che è dimostrabile che possano esistere universi paralleli.
Ah.
Così capito, se in questa vita non ti riesce di fare dei figli, puoi sempre provarci in quella parallela.
Uh. Dammi il nome del manuale, che inizio a documentarmi.
La conversazione perfetta (o del perché Jarvis Cocker è un genio)
Posted by gea in gea and the city, musica on August 27, 2010
She came from Greece she had a thirst for knowledge, she studied sculpture at Saint Martin’s College,
that’s where I caught her eye. She told me that her dad was loaded, I said In that case I’ll have a rum and coca-cola. She said Fine and in thirty seconds time she said, I want to live like common people,
I want to do whatever common people do, I want to sleep with common people, I want to sleep with common people, like you. Well what else could I do? I said I’ll see what I can do.
Amleto 2010
Posted by gea in gea and the city on August 17, 2010
Un uomo che non sa staccare (e riattaccare) la batteria della moto è un uomo lo stesso?
only fly for freedom
Posted by gea in gea and the city, musica, viaggi on July 13, 2010
Nove anni fa esatti vivevo a Valencia, era appena uscito All that you can’t leave behind e io ascoltavo Walk on dalle 20 alle 30 volte al giorno. Già allora non erano più gli U2 di un tempo, Bono si era montato la testa, il disco era un pallido tentativo di ritornare alla semplicità abbacinante di The joshua tree e un sacco di altre cose così, tutte vere peraltro. Ma questa strofa ce l’avevo piantata in testa e stasera, in un luglio milanese quasi africano, mentre faccio lo zaino per Beirut, mi rimbalza tra il cuore e i polmoni proprio come in quella lunghissima estate spagnola.
You’re packing a suitcase for a place none of us has been
A place that has to be believed to be seen
You could have flown away
A singing bird in an open cage
Who will only fly, only fly for freedom
Diventa anche tu amico di Geolina
Posted by gea in gea and the city on May 28, 2010

Un anno e mezzo fa con alcuni amici provai a fare un esperimento: origliare le conversazioni in giro per verificare quante volte nel corso della serata avremmo sentito parlare di facebook. Il compito si rivelò impossibile: più interessante segnarsi i rari casi in cui nell’arco di una notte nessuno lo menzionasse. È passato parecchio tempo e le cose, va da sé, sono solo peggiorate. Questa settimana la copertina di Time è dedicata a Zuckerberg e soci e nel vederla mi è venuto un rigurgito d’insofferenza: non se ne può più.
La casistica è più o meno la stessa da tempo osservata sui blog, ma esasperata dalla facilità del social network: scrivere due righe su un blog può richiedere un encefalogramma non del tutto piatto (può), mentre un mi piace non si nega a nessuno. Ne derivano esondazioni di personalità, self marketing, assuefazione alle demenzialità altrui, voyeurismo incontrollabile, paranoie di nuovo conio.
Ho una cara amica che passa metà delle feste cui andiamo a sincerarsi coi presenti di non taggare alcuna foto con lei che fuma, giacché amici di amici di cugini di ex compagni di classe potrebbero scoprire il riprovevole vizio e riferirlo agli ignari genitori. Una conoscente ha piantato invece una grana mostruosa a un’amica per aver pubblicato una foto in cui era – la conoscente – venuta male: “così la gente pensa che sono brutta”. Ho avuto una discussione con un collega quasi amico che ogni giorno si premura di far sapere al mondo quante sue righe si possono leggere sulla stampa nazionale: mi fa venire l’orticaria. Conosco coppie di ex fidanzati che si sono lasciati dopo anni di convivenza, non si rivolgono la parola se non per sibilare malignità ma sono amici su Fb, con tutta la carica di curiosità morbosa che ne deriva.
Prima che operassi un’epurazione di massa, decine di conoscenti del settore media mi contattavano su Fb per propormi pezzi, personaggi, comunicati stampa. Diventa anche tu amico di “Nutella”! Cento amici sono fan di Coccolino, segui il loro consiglio! Stendendo poi un velo pietoso su tutta la serie di subumani che passano la giornata a giocare alla fattoria e a invitarti a farlo, fanno quiz improbabili, ti spammano con inviti per la qualunque e cercano di reclutarti per campagne psuedosociali sullo stile Iscriviti anche tu per fermare la crudeltà sui pappagalli delle Mauritius, come se, ammesso che me ne importasse, servisse poi a qualcosa.
La numerosità dei minus habens su facebook è tale che la tentazione di cancellarmi mi assale quasi quotidianamente. In questi giorni alcuni duri e puri della privacy hanno organizzato un abbandono collettivo del social network, una sorta di rituale purificatorio di massa; ho meditato per un po’ di partecipare, fiera oltretutto del mio snobismo. La verità è però che non sono abbastanza snob: su Fb mi capita di trovare commenti di amici spagnoli o americani che vedo sì e no una volta all’anno, di vedere foto fatte insieme dieci anni fa o di organizzare rimpatriate che se non fosse per la facilità dei due clic del mouse non organizzerei mai. Allora mi torna in mente perché mi ciuccio tutto il resto. (Oltre al fatto che se questo sito esiste lo si deve a un messaggio in bottiglia affidato alla bacheca di Fb, cui un glorioso benefattore ha scelgo di rispondere).
Ma mi piacerebbe che la gente si ricordasse di avere un cervello. Avere un account su Fb non è una roba di cui ci si deve necessariamente vergognare. Ma in moltissimi casi sì.
(N.B. Una pagina su Fb cui tutti dovrebbero essere iscritti però c’è. Eccola)