Archive for December, 2010
La conversazione dell’anno
Posted by gea in gea and the city on December 26, 2010
Io ho bisogno di una donna che mi dia delle sicurezze, non della reporter d’assalto.
Bè, e io ho sempre voluto un uomo che morisse in guerra.
The time has come/2
Posted by gea in gea and the city, musica on December 23, 2010
Quest’anno è dura. Riassumere il 2010 in una lista di canzoni mi costa una certa fatica. Ho dormito troppo poco e in troppi posti, galleggiato su un’altalena emotiva schizoide almeno quanto la frenesia con cui sono salita su ogni treno, aereo, furgoncino scassone e moto ai famosi quattro angoli del globo. Ho ascoltato Bob Dylan appoggiata ai finestrini di qualsiasi mezzo di trasporto, dall’Equatore al Medio Oriente. Mi sono accanita sui Rolling Stones, letto tutto quello che si poteva leggere, rimediato al peccato originario dell’essere nata nell’80 mandando a memoria ogni nota dal ’62 in poi. Ho corso con Jarvis Cocker in cuffia sui lungomare di confine, tra il Tamigi e Israele. Trascorso notti intere con un paio di pezzi in loop, mentre il sonno non arrivava e i pensieri si affastellavano sempre più pesanti.
E devo fare uno sforzo grande davvero per decidere cosa porterei con me quest’anno sulla famosa isola deserta: un motivetto pop con il potere inspiegabile di doparmi di energia o la più struggente canzone d’amore di tutti i tempi? Alla fine, lo so, sarebbe la-più-struggente. Che è anche la più densa, quella che nella struttura di un quasi sonetto condensa la storia universale dell’amore.
Nello striminzito bagaglio a mano concesso dalle low cost in rotta per nowhere land, ci metterei Girl from the north country: ode al poeta come più non ne sono nati.
Il resto me lo canticchierei a mezza voce o a squarciagola, in onore di quella suprema performance al Rah bar con la Marti, in una serata di sbronze e karaoke.
Girl from the north country, Bob Dylan, 1963 Un pullmino scassato, in Libano. Siamo diretti a Tiro, confine con Israele. Fuori il cielo è di un azzurro sporco, carico di sabbia, polvere da sparo, eco di guerra e salsedine. Il vento che piega le palme mi spazza l’anima della gioia incontenibile di una terra di struggente bellezza. E la prima cosa che mi viene in mente sono i versi di questa incredibile canzone: If you’re traveling in the north country fair/Where the winds hit heavy on the borderline/Remember me to one who lives there/She once was the true love of mine/Well, if you go when the snowflakes storm When the rivers freeze and summer ends/Please see for me if she’s wearing a coat so warm/To keep her from the howlin’ winds/Please see from me if her hair hanging down/If it curls and flows all down her breast/Please see from me if her hair hanging down/That’s the way I remember her best. Il riassunto di ogni amore.
Common people, Pulp, 1995 Ci vuole un talento smisurato per cantare con quella voce suadente
delle storie così allegre e allucinate. Come se ti stesse sempre prendendo in giro. Jarvis è un genio; Common people la mia canzone più ballata dell’anno.
Shine a light, Rolling Stones, 1972 Perché Brian Johnson era appena morto, Exile è il disco più bello degli Stones e Keith Richards e Anita Pallenberg si amavano ancora alla follia sui tappeti del Marocco. La vita inarrivabile.
Coming back to life, Pink Floyd, 1994 Qui lo dico, e l’anno prossimo lo negherò. Io preferisco
David Gilmour. E comunque questo verso è un mantra: I took a heavenly ride through our silence/I knew the moment had arrived/For killing the past and coming back to life.
Monkey gone to heaven, Pixies, 1989 A metà degli anni ’90, quando vivevo a Washington, era esplosa la Bloodhound gang. In Italia sarebbe arrivata qualche anno dopo, ma mai con il primo disco, ovviamente il più divertente, The roof is on fire. La canzone omonima aveva un ritornello che mi ha sempre fatto ridere: So if man is five and the Devil is six/than that must make me seven/This honkey’s gone to heaven. Solo che proprio non riuscivo a capire a cosa si riferisse. Quando ho scoperto i Pixies tutto è tornato. E per chi ama l’annedotica, loro erano il gruppo preferito dal dannato per antonomasia, Kurt Kobain.
Just Breath, Pearl Jam, 2009 Una afosa notte d’estate in cui per qualche ora la vita mi è sembrata perfetta. Il resto l’ho già scritto qui.
Sweet desposition, The temper trap, 2009 Non chiedetemi perché, non ve lo so spiegare: vi basti sapere che ho persino comprato il singolo. Loro non so nemmeno che faccia abbiano, ma è una dose di andrenalina che mi anestetizza dal resto del mondo. Scaricatela e ditemi se vi fa lo stesso effetto euforizzante: mi basterebbe a pensare che non sono pazza.
Empire state of mind, Jay-Z ft. Alicia Keys, 201o C’ho persino scritto un pezzo, su Jay-Z. Perché diciamocelo: è un tamarro, ma è un genio. E a me questa canzone trasporta su una spiaggia, in estate, con mojito, abiti leggeri e tutte quelle cose che stanno al primo posto nella mia personale classifica della voglia di vivere.
Hemingway, Paolo Conte, 1982 Per quel sax pazzesco, capace letteralmente di portarmi via. Normalmente sulla Firenze mare, pini marittimi e la sensazione che tutto debba ancora succedere.
Dress up in you, Belle and Sebastian, 2006 C’è una tristezza che monta, in questa canzone, che rompe gli argini della mia malinconia e tracima in ogni angolo del corpo. E penso sempre che racconti in filigrana la mia storia, guardata da una certa prospettiva (non la mia). I always loved you/You always had a lot of style/I’d hate to see you on the pile/Of nearly-made-it/You’ve got the essence, dear/If I could have a second skin/I’d probably dress up in you/You’re a star now, I am fixing people’s nails/I’m knitting jumpers, I’m working after hours/I’ve got a boyfriend, I’ve got a feeling that he’s seeing someone else/He always had thing for you as well.
Sarajevo here we go
Posted by gea in gea and the city, viaggi on December 22, 2010
Deve esserci una ragione se ogni volta che sto per partire per un posto in cui per salutarsi si spara con il kalashnikov mi vengono la febbre e le placche in gola.
Forse il vecchio barbuto cerca di salvarmi la pelle.
The time has come/1
Posted by gea in gea and the city on December 17, 2010
Va bene, ci siamo. Ringalluzzita da Obama, ho deciso di affrontare l’estrema prova: il Monte Bianco.
Ricetta Chiucchiurlotto, con il Mac (sullo sfondo) a fare da gobbo. Un rito iniziatico: mia madre preparava il dolce due volte all’anno, per il suo compleanno e per quello di mio padre, entrambi in autunno.
Ho deciso che era l’ora di diventare donna.
Be the trouble you want to see
Posted by gea in gea and the city, musica, personaggi on December 14, 2010
Lo confesso. Mentre la gente oggi si rompeva la testa a cercare di capire se un manipolo sgrarrupato di affaristi, analfabeti, ignoranti, massoni, doppiogiochisti, pecorari, commedianti, puttanieri, delinquenti, ignoranti e probabilmente dimentico qualcosa riusciva a tenere in piedi un governicchio del Paese delle banane, sono andata a vedere una mostra stupenda di foto di Mick Jagger.
La mia preferita è questa qui a lato di Simone Cecchetti. Poi, ho passato il resto del tardo pomeriggio a leggere la classifica delle 500 canzoni migliori della storia stilata da Rolling Stone Usa. E godendo che le prime due fossero per inciso dei miei artisti più ascoltati dell’anno – Dylan e gli Stones – ho riflettuto anche sul fattore Sting/Police. Perché il terzetto Sting-Copeland-Summers ha suonato delle cose che ancora oggi mi fanno venire i brividi (Do I have to tell the story of a thousand rainy day since we first met?) e Sting da solo mi dà l’orticaria, l’istinto di scaraventare l’iPod per terra e voglia di metter su Tiziano Ferro?
Queste sono le domande che contano. Altro che Casini entrerà nel governo. Chissé ne frega se ci entra, non spererete mica che possa fare meglio o peggio dello schifo che già c’è.
Abrogate Schengen, oppure, tre donne al giapponese, dopo la chiusura
Posted by gea in gea and the city on December 11, 2010
Tu non sai che ho subito un’aggressione.
Ma figurati, di cosa stai parlando?
Vabbè, su, un’aggressione. Lo hai fatto entrare. Anzi, lo hai invitato a cena!
Sì, è vero, l’ho invitato a cena.
Ahhah, un’aggressione dicevi.
Sì comunque è stata un’aggressione: mi sentivo la Polonia.
Lui faceva la Germania?
Oppure un’Austria piccola ma incazzata.
Bisognerebbe rimettere le barriere.
Colpa nostra, le abbiamo fatte crollare troppo in fretta.
Un po’ tipo Schengen, insomma.
Sì, dovremmo abrogare Schengen, ecco.
Oppure smettere di sbronzarsi e invitare la gente a cena.
Quella è un’altra possibilità, in effetti.
[l’amica esperta orientale, l’amica esperta africana e quella che non è esperta di una mazza, la vittorio zucconi de noantri insomma]
Sulla strada per Londra
La letteratura – ha detto un poeta – è la dimostrazione che la vita non basta. Perché la letteratura è una forma di conoscenza in più. Molte cose ci possono bastare, e devono bastare, nella vita: l’amore, il lavoro, i soldi. Ma la voglia di conoscere non basta mai credo. Se uno ha voglia di conoscere, almeno.
Antonio Tabucchi, Viaggi e altri viaggi.
I wanna talk with Common People
Posted by gea in gea and the city, personaggi, viaggi on December 2, 2010
Martedì prossimo pranzerò a Soho, Londra. Insieme a Ken Loach.
La settimana scorsa gli ho scritto una mail per chiedergli un paio di cose. L’indomani la sua assistente mi ha telefonato e abbiamo concordato l’intervista in Wordour street.
Nella stessa mattina Marta ha scritto a Gianni Amelio, dicendomi: Proviamoci con uno verosimile, dai.
Gianni Amelio non le ha mai risposto.