Archive for August, 2014
La pagina femminile di Pane e sharing. Dispaccio #1: Tecniche italiane di sopravvivenza
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on August 31, 2014
Alla ragazza che mi ospita in casa qui a Colonia si è bucata la ruota della bicicletta: apparentemente un dramma tipo olocausto atomico.
Così, ieri pomeriggio, tra un recupero di cibo e l’altro, ha trascinato me e l’altra coinquilina all’angolo della strada dove l’aveva abbandonata per cercare di ripararla (ignorava, ingenua, che finché si tratta di alimenti ce la posso fare, ma con la manualità sono messa peggio di un bradipo).
Arrivate lì e considerato lo stato della ruota e il fatto che non avevamo nemmeno uno degli strumenti che mi hanno spiegato essere imprescindibili, l’operazione pareva rapidamente naufragata e io stavo già sognando di trascinarle a mia volta a bere una birra al bar d’angolo.
Ma lei si guardava intorno disperata, fino a spingersi dentro un negozio per chiedere una mano al titolare, il quale da buon precisetto tedesco le ha spiegato che lui sarebbe stato certamente capace di aggiustare tutto e sostituire la camera d’aria, ma ci voleva il tempo giusto e gli attrezzi giusti, e cara amica riportati la bici a casa e quando avrai più tempo se ne parla. Auf wiedersehen
Nicole era così sconsolata che ho preso in mano la situazione. Ci penso io, le ho detto spingendo la bici fino al bar poco distante. Questa è una tecnica italiana, stai tranquilla.
Ho piantato la bici fuori dal locale, in mezzo a un capannello di ragazzi che in un altro Paese avrei definito hipster ma in questo si vestono tutti comunque così alla come capita che non saprei dire se il risultato finale era desiderato o meno, e ho spiegato loro che sono straniera, e non so proprio come si fa, ed è così difficile caspita essere in un Paese diverso e ho sorriso parecchio, e insomma la vecchia storia del fingiti una donna scema e incapace che chiede aiuto al superuomo e lo fa sentire importante è talmente vera da travalicare i confini e le dogane, e dopo cinque minuti – benché lamentandosi perché stava per inziare la partita del Bayern – un tizio con una maglietta bianca e due spalle larghe quanto corso Buenos Aires aveva tirato fuori da non so dove tutti gli attrezzi, e dopo altri dieci ci riconsegnava la bici perfetta tra i risolini generali.
Ero così esaltata di aver dato prova alle compostissime ragazze tedesche che l’italianità non è sempre un male (tralascio il dibattito seguitone: ma tu sembrare scema! E invece io essere furba!) che arrivate a casa ho deciso anche di cucinare un risotto con la zucca. E per essere io, e io in Germania, e io con alimenti da me stessa recuperati dagli scarti dei supermercati, stavo facendo un lavoro galattico. Peccato che finito il tutto, per dare un po’ più di zapore, le ragazze abbiano voluto metterci su quell’erbetta che non so nemmeno come si chiama perché in Italia penso sia proibita dalla Convenzione per i diritti dell’uomo, e nel resto del Nord Europa la piantano sul salmone crudo (qui si chiama Dill, comunque), tanto per dire quanto sono vicini i due sapori. Secondo loro, così era un risotto fantastico; io ho preso l’erbetta e l’ho tolta di nascosto.
Anche per questo sabato ho fatto mio figurone.
Leggete Pane e sharing
Posted by gea in pane e sharing, sharing economy on August 25, 2014
Leggi Pane e sharing, leggi Pane e sharing, leggi Pane e sharing.
Nei prossimi due mesi, il racconto di viaggi e giornate all’insegna della collaborazione si sposta qui.
Cosa vuol dire in pratica? Che sto per partire per un tour a costo zero tra l’Europa e gli Usa alla ricerca delle esperienze più interessanti della sharing economy, e cioè tutte quelle cose che quando le impari ti paiono una figata pazzesca ma prima ti sembra impossibile che esistano, tipo andare a bere un caffè in un bar nel quale smanettoni ti aggiustano l’iPhone solo per il piacere di farlo, o incontrare quelli che hanno convinto i supermercati a regalare alla collettività un po’ delle loro scorte alimentari prima che vadano a male, o ancora quelli che si sono inventati un sistema di cambia valute peer to peer basato sulle banconote e sugli spiccioli che restano nel portafoglio quando si torna da un viaggio, per evitare le commissioni eccessive.
Insomma, vado a vedere quello che penso possa essere il meglio, spostandomi e dormendo grazie all’aiuto di altri. E se tutto questo può sembrare molto serio, l’immagine di me in mezzo a una schiera di teutonici germano-parlanti che poto alberi da frutta sprezzante dalla sciatica e raccolgo cibo in casa di sconosciuti resistendo alla tentazione di mangiarne metà lungo il percorso vale da solo il prezzo del biglietto.
Leggete numerosi.
On the road
Posted by gea in gea and the city on August 24, 2014
Mark Lanegan, chilometri, la quarta o quinta vita dell’anno ad aspettare dall’altra parte della strada.
Sos amica non incinta
Posted by gea in gea and the city on August 20, 2014
Tutto intorno a me ci sono donne incinte. O neomamme. O impazienti trentaequalcosenni in attesa di diventarlo.
Nel perimetro allargato delle mie amiche e delle buone conoscenti – incluse straniere, donne in carriera, furono ribelli – quelle che non aspettano un figlio o non ce l’hanno già si contano sulle dita di una mano. Penserete che stia esagerando: e invece no.
Come ha commentato con ostentata razionalità una oggi, è una questione di anni, alla nostra età è normale (risposta appena sibilata: quale età?); oppure, più prosaicamente, è come se fossero piovuti spermatozoi dal cielo nella versione divertita di una nonna circondata da carrozzine.
Il risultato sono conversazioni che da settimane si ripetono uguali. Identiche. Talvolta commosse. Spesso isteriche. Qualche volta lacrimevoli. Perché la scoperta che la maternità non è (solo) come la pubblicità ce l’ha insegnata, raffigurata, proposta, imposta, è amara assai.
Per anni, prima che qualcuna veramente provasse sulla sua pelle, abbiamo assorbito questa “narrazione tossica” in cui l’elemento di realtà (pianti, ragadi, sonno mancato, ansia allo stato puro, solo per citare i primi sintomi) è totalmente espunto dal quadro, a favore di immagini solari di mamme e bambini riposatissimi e sempre sorridenti che si attaccano a tette perfette alte fin sotto al mento fin dal primo vagito, mentre il marito, più delicato di Ken, monta l’ovetto in macchina per favolosi week-end a tre che quasi qualunque famiglia cancella invece dall’agenda per almeno i primi sei mesi.
In attesa che i sei mesi passino, non resta che sommergere le superstiti (superstiti, sì) di dettagli su battesimi, asili nido, svezzamento, ruttini, coliche e poi non ricordo più, che a un certo punto mi va il cervello in overbooking e inizio a sentire quella specie di fischio che faceva la tivù negli Anni 80 quando non c’era programmazione, per chi è abbastanza vecchio da ricordarselo.
Avevo sempre pensato che prima o poi avrei voluto fare due o tre bambini (ma anche che sarei diventata ricca e magra, e al momento non so quale delle tre sia più lontana: verosimilmente il ricca e madre, il che è tutto dire). Continuo a credere al mille per cento che, una volta superato l’inferno iniziale, i figli possano essere in assoluto la gioia più grande. Ma dopo questa estate sento che per recuperare dall’eccesso di bambitudine a cui sono stata esposta dovrei infilarmi a un raduno di hippy e consumare sostanze psicotrope in abbondanza.
Ps. Amica mia che sei incinta o neomamma e leggi queste righe, non ti offendere ti prego. E non stupirti nemmeno. Lo sai anche tu, spero, che questa è la realtà.
Lezioni #1
Posted by gea in gea and the city, viaggi on August 12, 2014
Nella vita bisogna possedere una sola cosa: il passaporto.
(Keisube, agosto 2010)
No thought control
Posted by gea in alla rinfusa on August 10, 2014
Ho ricevuto una mail da Seul. In coreano. Prima di destabilizzare il mio interlocutore asiatico spiegandogli che aveva fatto un po’ di casino con l’alfabeto, ho provato a tradurla con Google (non vorrei avere sulla coscienza l’harakiri di un dipendente deluso da se stesso).
Sforzo vano: il servizio Translate ha ancora un po’ di strada da fare.
Le conseguenze del couchsurfing
Posted by gea in gea and the city, sharing economy on August 4, 2014
Ho ospitato due couchsurfer busker, che è il nome nobile per artisti di strada, che è il nome comune per freakkettoni con zaino, dreadlock e scorte di idealismo sulle spalle.
Ho messo da parte un po’ di paranoie e di pregiudizi e alla fine quasi ho invidiato la loro naiveté nutrita di semini e tisane, che mi hanno pure generosamente regalato. Peccato che quattro giorni dopo in casa ci sia ancora un odore pestilenziale: «Fanno benissimo alla salute», mi ha detto lui la sera che ha deciso di cucinare, tagliando mezza testa d’aglio e tre cipolle intere dentro al soffritto per altrettante persone.
Se l’odore non passa entro stasera chiamo i ghostbuster.