Archive for March, 2011

Bene/male

Motivi per stare bene.
Ho mangiato delle prugne buonissime che sanno d’estate, le giornate sono meravigliosamente lunghe,  a Milano resiste il sole, venerdì ho passato un pomeriggio bellissimo con Ben Harper, ho comprato due biglietti aerei per posti dove volevo andare.

Motivi per stare male.
I legamenti della mia caviglia sono rotti. Se ne sono accorti, con la consueta presenza di spirito, solo perché io ho insistito che qualcosa non andava, visto che dopo un mese non riuscivo ancora a camminare. Forse non si possono operare e resteranno rotti, e comunque mi costerà un migliaio di euro l’intera cosa, e nella stagione più bella dell’anno non riesco a correre nemmeno un giorno. E la moto forse resterà in garage finché non sarò guarita: mesi.
La primavera mi sballa gli ormoni, o forse ho la testa sballata a prescindere dalla primavera, ma comunque mi viene da piangere in continuazione: dal medico per la caviglia, in riunione di redazione perché non posso partire per la Tunisia, mentre leggo il giornale per i profughi.
Sto ammattendo, porca miseria.

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Ho un po’ di domande

Ma se uno è disposto a spendere tutto quello che ha, a rischiare la propria pelle, quella della propria famiglia e persino quella del bambino che porta in grembo, per attraversare il Mediterraneo e venire in Italia, come si fa a pensare di rimandarlo indietro?
Non è abbastanza per capire che  “indietro” non c’è vita né futuro? Se uno avesse alternative, sceglierebbe di abbandonare tutto per venire qui e poi magari rimanere detenuto in galere altrimenti chiamate per mesi?
E, ancora, il fatto che il tappo nord africano sia saltato e l’ondata migratoria stia ingrossando di ora in ora  non significa forse che fino a ieri abbiamo confinato questi migranti in un posto di morte? Dal quale hanno iniziato a scappare non appena possibile?
E possibile che un Paese come l’Italia che tollera la mafia, la ‘ndrangheta, la corruzione, i baby killer, il lavoro nero non riesca  a gestire qualche migliaia di persone?  Cosa spaventa la famiglia piccolo borghese, medio borghese e aristocratica: che i tunisini rubino loro il lavoro che non vogliono fare? Che gli sposino le figlie? Che preghino Allah mentre il papa recita l’Angelus?
E l’Europa, l’Europa della libera circolazione delle merci, come pensa di avere alcuna autorevolezza finché non rende liberi di circolare gli uomini? L’Europa pronta a far entrare nel suo circolo la Turchia – quattrini, controllo, sponda a est – ma spaventata dai ben più vicini tunisini, non si vergogna almeno un po’?

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abitudini

Sono due notti che non dormo. Ho passato la settimana a vedere leucemie infantili, radiazioni, esplosioni, centrali nucleari.
L’altra notte avevo mio nipote nel letto e mi sono svegliata di soprassalto, a toccarlo, per vedere se era tutto intero.
Stamattina alle 4 stavo scrivendo del patto di Bengasi, Gheddafi, la guerra, i caccia. Alle 10, Milano ha scodellato un sole pazzesco e sono uscita in motorino. E per strada mi veniva da piangere, un tracollo emotivo, qui il cielo azzurro e una canzoncina nelle orecchie e 1.000 chilometri a sud i bombardieri, i bambini morti, gli spari per strada.
Non ce la faccio, mi sono detta, sono troppo fragile per questo lavoro. Ma forse alla fine ci si fa l’abitudine.

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noi, provinciali dell’Orsa minore

Ho già avuto modo di dire – forse non qua, ma chi legge quello che scrivo sui giornali se ne è reso conto – di quanto sia cresciuto negli ultimi tempi il mio afflato socialista. Paradossalmente, più capisco e studio cose economiche, e più la repulsione verso tutto il sistema cresce. C’è un movimento, che si chiama decrescita, di cui mi sto occupando molto. Poi c’è l’economia ecologista, che forse è ancora meglio, perché più immediata: la concretezza è il problema di ogni rivoluzione che si rispetti.
In ogni caso, senza farla troppo lunga, stamane stavo leggendo questo estratto di intervista a Mandred Max-Neef, economista cileno, e mi sono venuti i lacrimoni. Può essere che, tra i 31 anni appena compiuti e la caviglia sfasciata, abbia un po’ gli ormoni sballati. Ma secondo me commuove anche voi.

I worked for about ten years in areas of extreme poverty in the Sierras, in the jungle and urban areas of Latin America. And one day at the beginning of that period I found myself in an Indian village in the Sierra in Peru. It was an ugly day. It had been raining all day. And I was standing in the slum. And across from me, a guy was standing in the mud – not in the slum, in the mud. He was a short guy … thin, hungry, jobless, five kids, a wife and a grandmother. And I was the fine economist from Berkeley. As we looked at each other, I suddenly realized that I had nothing coherent to say to that man in those circumstances, that my whole language as an economist was absolutely useless. Should I tell him that he should be happy because the GDP had grown five percent or something? Everything felt absurd. Economists study and analyze poverty in their nice offices, they have all the statistics, they make all the models and are convinced they know everything. But they don’t understand poverty.

I live in the south of Chile in the deep south. And that area is known for its milk production. Top technologically, and in every way the best there is. A few months ago I was in a hotel there for breakfast, and there were these little butter things. I looked at one. It was butter from New Zealand. And I thought, isn’t that crazy? Why? The answer is because economists don’t know how to calculate true costs. To bring butter from 10,000 kilometers to a place where you already make the best butter, under the argument that it is cheaper, is a colossal stupidity. They don’t take into consideration the environmental impact of 10,000 kilometers of transport. And part of the reason it’s cheaper is because it’s subsidized. So it’s clearly a case in which the prices do not tell the truth. It’s all tricks. And those tricks do colossal harm. If you bring consumption closer to production, you will eat better, you will have better food, you will know where it comes from and you may even know the person who produces it. You will humanize consumption. But the way economics is practiced today is totally dehumanized.

We need cultured economists, economists who know the history, where the ideas come from, how the ideas originated, who did what; an economics that understands itself very clearly as a subsystem of the larger system of the biosphere. Today’s economists know nothing about ecosystems, nothing about thermodynamics, nothing about biodiversity – they are totally ignorant in those respects. And I don’t see what harm it would do to an economist to know that if the beasts and nature disappear, he would disappear as well because there wouldn’t be food to eat. But today’s economists don’t know that we depend absolutely on nature. For them, nature is a subsystem of oureconomy. It’s absolutely crazy!

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dei dolori e delle pene

Quindi ieri ero sdraiata sul lettino del radiografo con i lacrimoni agli angoli degli occhi e la mano in bocca per non frignare per il male – referto: slogatura e tumefazione del tessuto malleolare – e quest’omone grande e grosso ha iniziato: Ma quindi lei si occupa di estero? Chissà quanto lavoro in questi giorni. E poi, i debiti internazionali, la crisi. Ecco, la crisi… Volevo chiederle: ma è vero che la Bce alza i tassi?  Dice di sì eh. Ma fa un’unica botta o un rialzo lento come due anni fa la discesa? E’ sicura sicura? Ma poi li fanno scendere di nuovo? Mi faccia una stima di quanto potrebbero salire: oltre lo 0.5? Però la Fed si muove al contrario. No, mi scusi, ma sa, ho un mutuo a tasso variabile, mi ero sempre vantato di non averlo cambiato, però ora non so più cosa fare…

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Sono una persona orribile/1

Se credessi in Dio avrei delle cose terribili da dirgli.

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